iPhone 6 e iWatch, l'evento che segnerà per sempre la carriera di Tim Cook

A prescindere dall'esito che avrà l'evento di stasera, una cosa è certa: avrà profonde ripercussioni sulla vita e sulla carriera di Tim Cook. Alle 19:00 ora italiana, l'iCEO si gioca il tutto per tutto.
A prescindere dall'esito che avrà l'evento di stasera, una cosa è certa: avrà profonde ripercussioni sulla vita e sulla carriera di Tim Cook. Alle 19:00 ora italiana, l'iCEO si gioca il tutto per tutto.


Questa sera Tim Cook terrà il discorso più importante della sua intera vita; più importante di quello alla Auburn University Award, e di quello sui diritti civili, perché stavolta si gioca reputazione e carriera. Al Flint Center for the Performing Arts pressi il College De Anza di Cupertino, l’iCEO avrà 90 minuti per dimostrare al mondo di che pasta è fatto; e tra una slide e l’altra, scopriremo se è davvero il degno successore di Steve Jobs, e se per Apple esiste un futuro.

Tim Cook non è Steve Jobs, e questa al momento è la sua principale debolezza. In seguito al passaggio di consegne, e alla nomina a CEO di Apple, è iniziato il tormentone ansiogeno che solo ora inizia a sopirsi un po’: che ne sarà di Apple? Il timore, infatti, era che il nuovo comandante non avrebbe avuto semplicemente il physique du rôle per traghettare indenne Cupertino verso il futuro, e le incertezze all’orizzonte erano molte. Si temeva che l’indole riservata, severa e vagamente zen di Cook non fosse all’altezza del temperamento fumantino del predecessore, e la verità è che i due sono agli antipodi per quanto concerne carattere, esercizio del potere e stile.

Jobs ha plasmato l’anima di Apple identificandosi con essa, e influenzando in modo autoritario design, strategie di marketing, ricerca, sviluppo, e scelte di mercato; tutto ruotava attorno al perno dei sui personalissimi gusti, accrescendo ulteriormente la sua aura carismatica, Cook invece è un eccellente direttore operativo, è realista e dotato di grandi capacità tecniche; senza il suo contributo, l’ottimizzazione certosina dei processi, delle spese e della logistica, e senza la sua conoscenza approfondita della catena delle forniture, Apple non sarebbe altrettanto efficiente né potrebbe rispondere con tanta rapidità ai mutamenti repentini del mercato. Ma basta questo per dirigere la mela?

Due CEO agli antipodi

Il New York Times ha definito Cook “l’esatto contrario del modello ispiratore” mentre il Wall Street Journal ha scritto che sta rendendo Apple “simile a tutte le altre società.” La pressione su di lui cresce mentre tutti si aspettano qualcosa di grandioso, che incida nell’immaginario collettivo e possibilmente nel portafoglio degli azionisti, portando i 171 miliardi di dollari di fatturato di Apple verso nuovi lidi.

A distanza di quattro anni dall’ultimo, grande successo, iPad, ora la mela ha bisogno di dimostrare di poter allargare il proprio spazio di business, di essere ancora in grado di tirar fuori dal cilindro prodotti “follemente” grandiosi, ed è questa la vera sfida che attende Cook; perché se da una parte si è dimostrato un eccellente manager, dall’altro gli manca l’indole del sognatore che era propria dell’altro.

Steve Jobs, racconta un dipendente anonimo al Wall Street Journal, era il “no personificato,” un “CEO da guerra” contrapposto al “CEO da tempi di pace” di Cook. Quest’ultimo, per esempio, era contrario all’ostilità verso Samsung, visto il ruolo critico che riveste come fornitore di componenti per iPhone e iPad, e ha tentato più volte la strada della mediazione. Jobs, dal canto suo, non ha esitato a sguinzagliare gli avvocati contro Samsung o a ingaggiare un “conflitto termonucleare” con Google e l’allora CEO Eric Schmidt.

Laddove il primo soleva creare competizione e scontro (spesso mettendo al lavoro due team sul medesimo progetto, per decretare il vincitore assoluto), Cook si è rivelato una persona dal carattere gentile, aperta alla collaborazione, perfettamente cosciente dei propri limiti, e dotata di un ego più sobrio. È un uomo che costruisce relazioni e ama delegare, e questo nuovo approccio ha creato un ambiente di lavoro più sereno a Cupertino, ma purtroppo anche meno competitivo.

Per questa ragione, si è circondato di manager di altissimo livello e si è trasformato in un cacciatore di talenti. Cook sa non di non essere un visionario come Jobs, e allora ha promosso Jonathan Ive a capo della divisione hardware e software; lui assieme al responsabile del Software Engineering Craig Federighi, è ora il nuovo volto del fattore “cool” della mela.
In più sono recentemente entrati a Cupertino creativi, tecnici e figure di spicco come Angela Ahrendts di Burberry o Paul Deneve di Yves Saint Laurent. E con l’acquisizione di Beats Music, sembra quasi che Apple abbia conquistato a qualcosa di più della mera proprietà intellettuale: quasi una visione d’insieme dell’intero mercato musicale, e magari una chiara idea della direzione da prendere, sopratutto ora che i download su iTunes Store sono drasticamente calati in favore di competitor come Pandora, Spotify e lo stesso iTunes Radio. Si tratta di un’acquisizione impensabile nell’era Jobs, che forse tradisce debolezza; per una società abituata a sviluppare internamente le tecnologie, le acquisizioni degli ultimi mesi appaiono quanto meno insolite. E non è neppure l’unica stranezza.

Sotto la nuova gestione, sono nate iniziative legate all’ambiente e alle energie rinnovabili, alla beneficenza, nonché all’attivismo sociale. Apple si è sempre apertamente schierata contro l’omofobia, ma quest’anno per la prima volta ha partecipato alla parata della comunità LGBT di San Francisco con un corteo di oltre 5.000 persone tra impiegati e loro familiari; sono state distribuite iTunes Card, magliette ricordo ed è stato coniato il brand “Apple Pride.” Una scelta encomiabile, ma destinata inevitabilmente a rendere Apple davvero più “simile a tutte le altre società.”

Inoltre, Cook ha compiuto sforzi importanti nel tentativo di migliorare le condizioni di lavoro nelle fabbriche cinesi, lanciando investigazioni indipendenti attraverso la collaborazione della Fair Labor Association (FLA).

Le azioni si sistemeranno da sé

Steve Jobs soleva dire che “non è necessario correre: basta solo fare un passo per volta; la stampa e le azioni si sistemeranno da sé.” Se guardiamo all’andamento delle azioni di Cupertino dal lancio di iPhone ad oggi, siamo passati dai precedenti 12 dollari pre-split del 2007 agli attuali 100 e più dollari; una performance che non deriva da nuovi prodotti rivoluzionari ma da semplici evoluzioni di prodotto e dall’aumento della redditività con iPhone 4 nel 2010 e iPhone 4S nel 2011. Poi, con iPhone 5 e iPad mini (quest’ultimo fortemente voluto da Cook nonostante l’avviso contrario di Jobs), i margini di profitto sono scesi, e così il margine operativo lordo della società è calato al 37% nel 2013. Di fatto sono stati neutralizzati tre anni di crescita e, se dal 2004 al 2013 il giro d’affari della mela è aumentato in media del 40% ogni anno, l’anno scorso si è registrato un modesto +9%. Dopo questo tracollo e il quasi dimezzamento del valore delle azioni, tuttavia, le cose sono tornate a normalizzarsi in tempi recenti.

Nel Q1 2014 si è registrato un fatturato trimestrale record di 57,6 miliardi di dollari e un utile netto di 13,1 miliardi di dollari (3 miliardi in più rispetto al Q1 2013), le azioni hanno ripreso ad andare a gonfie vele (attorno ai 700 dollari) e il mercato sembra aver accolto bene il recente split. Le previsioni per il Q2 sono tutte positive, e gli analisti si aspettano un nuovo record alla presentazione dei risultati fiscali di luglio, nonostante la totale assenza di novità eclatanti.

Il presente e il futuro

Apple non ha smarrito la bussola dell’innovazione, ma di sicuro ha rallentato il passo. Il suo vero problema, nel breve periodo, è che ha bisogno di aumentare i margini di profitto. Ecco perché ha lanciato iPhone 5s, iPhone 5c e iPad Air, tutti molto più redditizi dei modelli che sostituiscono, ed ecco spiegato come mai nel primo trimestre del 2014, i margini hanno superato le aspettative e toccando quota 39% per la prima volta dallo storico picco del 2012.

Quel che ci vorrebbe ora è un prodotto inedito, mainstream, e dotato di margini di guadagno perfino superiori: per esempio, un iWatch, cioè uno smartwatch dotato di iOS, infarcito di sensori, capace di monitorare salute e stato fisico, e predisposto per i pagamenti; insomma, un gadget capace di creare nuovi bisogni nella gente. Dopo essersi appropriata della scrivania dell’utenza coi Mac, della mobilità con i gingilli iOS e del salotto di casa con Apple TV, la mela intende ora assicurarsi un posto d’onore sul nostro polso. Ed è interessante sottolineare come Tim Cook si sia fatto da parte nel processo di ingegnerizzazione, ma abbia voluto avere peso nelle “implicazioni di ampio respiro,” quindi nell’ecosistema nel suo complesso, premendo molto verso l’approccio salutistico. Un’ulteriore riprova del fatto che, se il co-fondatore di Apple era ossessionato dal design e dal feeling di prodotto, Cook è storicamente attento all’efficenza e al suo utilizzo concreto. Ma all’orizzonte c’è dell’altro.

In ballo c’è anche HomeKit, un nuovo protocollo di domotica che introduce la gestione e il controllo wireless di lampadine, serrature smart, termostati WiFi e così via. Il tutto con un collante che solo Apple è in grado di offrire: un ecosistema coeso e coerente. La prossima versione di OS X, Yosemite, introdurrà alcune funzionalità che permettono di rispondere alle telefonate su iPhone direttamente dal Mac, o di rispondere agli SMS dell’iPhone su iPad; potremo iniziare a scrivere una mail su un dispositivo e riprenderla dall’altro, iniziare la lettura di una pagina Web su Mac e finirla su iPad. Nessun altro produttore al mondo controlla il software e l’hardware come Apple, ed è lì che Tim Cook spingerà l’acceleratore, mentre Samsung annuncia i peggiori risultati fiscali degli ultimi due anni.

L’evento Apple dedicato ad iPhone 6 e iWatch parte stasera alle 19:00. Tutti pronti per il Live di Melablog?

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