Parler, l'app dei sostenitori di Trump rimossa da App Store

Parler, il social network su cui si sono riversati i sostenitori di Trump dopo il ban da Twitter e Facebook, è stato rimosso da App Store.
Parler, il social network su cui si sono riversati i sostenitori di Trump dopo il ban da Twitter e Facebook, è stato rimosso da App Store.

Mentre negli USA si discute della proposta di impeachment per Trump dopo l’assalto a Capitol Hill dei giorni scorsi, Apple e Google rimuovono dai propri App Store Parler, l’app di social networking su cui si erano riversati i sostenitori di Trump dopo il ban presidenziale da Facebook e Twitter. E l’opinione pubblica si divide: è censura o un atto legittimo dei proprietari delle piattaforme?

Il caso Parler

In seguito al ban su Twitter e al blocco temporaneo (almeno fino all’insediamento di Biden) su Facebook e Instagram, i fan di Trump si sono dati appuntamento sul Parler, un social anti-censura molto frequentato dai conservatori americani. Tuttavia, in seguito ai messaggi d’odio e violenza emersi nelle ultime ore, Apple ha preso diversi provvedimenti. Dapprima inviando una lettera in cui si chiedeva di moderare “il proliferare di queste minacce sulla sicurezza della gente minacce alle persone”, e infine ha eliminato l’app da App Store.

Poi è arrivata Google, con misure e motivazioni simili sul Play Store, a cui si è aggiunto il ban del canale Podcast “War Room” di Steve Bannon, ex stratega di Trump molto vicino alle posizioni dell’estrema destra americana,  per aver violato più volte le regole di YouTube che proibiscono la diffusione di falsità sull’esito delle elezioni.

Nel mentre, Amazon Web Services ha deciso di sospendere l’account di Parler in modo definitivo sulla base del fatto “pone un serio rischio per la sicurezza pubblica”; e ora gli sviluppatori dovranno cercarsi un altro host prima di domenica, altrimenti l’interno network Parler andrà offline.

Cosa che, coi tempi ristretti e dopo quanto successo, sarà tutt’altro che facile.

Le Chiavi del Web

Nel caso specifico di Apple, che è quello che più interessa il nostro blog, le motivazioni fornite sono adamantine:

“Abbiamo sempre supportato la rappresentazione di diversi punti di vista su App Store, ma non c’è posto sulla nostra piattaforma per le minacce di violenza e l’attività illegale. Parler non ha preso misure adeguate per risolvere la proliferazione di tali minacce alla sicurezza delle persone. Pertanto, l’abbiamo sospesa da App Store fino a che non risolveranno i problemi enunciati.”

E dice bene Apple quando parla della “nostra piattaforma”, perché in ultima istanza App Store è di proprietà di Apple, e per tanto a Cupertino hanno tutto il diritto-dovere di rimuovere i contenuti vìolano le regole (decise da loro, ovviamente). Ma ci domandiamo: è giusto che un soggetto privato possa godere di simili privilegi?

Risposta semplice: Assolutamente sì. Trump e i suoi sostenitori possono sempre aprirsi un blog, un sito Web, crearsi un social network (le risorse non mancherebbero) o scegliersi altre piattaforme.

Risposta complessa: Francamente non abbiamo una risposta. Quando un soggetto privato diventa un diffusore di contenuti e informazioni, e quando può spostare tanto efficacemente le intenzioni di voto, non dovrebbero forse essere regolamentato come giornali, tv e radio? Certo, a un ban si può rispondere con gli avvocati, come è avvenuto qui da noi nel caso dell’oscuramento della pagina dell’Associazione di Promozione Sociale CasaPound Italia; Facebook fu condannato a pagare 15 mila euro di spese legali più una penale di 800 euro per ogni giorno di mancata riattivazione della pagina. E sebbene la querelle sia tutt’altro che chiusa, tra le motivazioni della sentenza si legge :

“Il soggetto che non è presente su Facebook è di fatto escluso (o fortemente limitato) dal dibattito politico italiano, come testimoniato dal fatto che la quasi totalità degli esponenti politici italiani quotidianamente affida alla propria pagina Facebook i messaggi politici e la diffusione delle idee del proprio movimento. Ne deriva che il rapporto tra Facebook e l’utente che intenda registrarsi al servizio (o con l’utente già abilitato al servizio come nel caso in esame) non è assimilabile al rapporto tra due soggetti privati qualsiasi in quanto una delle parti, appunto il social network, ricopre una speciale posizione: tale speciale posizione comporta che Facebook, nella contrattazione con gli utenti, debba strettamente attenersi al rispetto dei principi costituzionali e ordinamentali finché non si dimostri la loro violazione da parte dell’utente.”

Un doveroso Disclaimer

La faccenda è spinosa, ma purtroppo per tutti ha implicazioni squisitamente politiche. Dunque, è la politica che dovrebbe occuparsene, c’è poco da fare. Altrimenti, perché i big del Web sono intervenuti solo ora? In fin dei conti, nelle ultime ore Trump non ha detto nulla diverso dalla solita retorica di violenza e fake news cui eravamo abituati da anni.

E se da una parte il gestore del servizio online ha tutto il diritto di revocare l’accesso a chi vìola le sue regole (regole accettate al momento della registrazione, intendiamoci), dall’altra, è un bel problema quando Twitter, Apple, Facebook e Amazon -cioè il 99% di Internet, inutile girarci intorno- ti sbattono la porta in faccia. E infatti Parler al momento della stesura di questo post è offline.

La questione non è se una piattaforma piena di hater venga chiusa. Ma la preoccupazione su come già sia avvenuto non può essere ignorata. Gli stati non possono più abdicare al loro compito di regolamentare le multinazionali dei servizi Web.

Conclusioni?

Al di là di come uno la pensi a riguardo e del proprio orientamento politico, le azioni di Apple, Google e Amazon hanno effetti concreti sulla nostra società. E francamente, più che il ban in sé, ci sorprende di più il fatto che si sia dovuto attendere un’insurrezione al Campidoglio per arrivare a misure che forse potevano (dovevano?) essere prese molto tempo fa.

Come già detto abbiamo molti dubbi e nessuna risposta, ma era ora che ci ponessimo finalmente il problema. Problema che non è se sia giusto o meno togliere il microfono a un presidente che ha fatto della menzogna sistematica, della contumelia gratuita e della violenza verbale il proprio stile personale; ma se sia stato giusto mettere le chiavi dell’intero Internet in mano a pochi soggetti privati cui non dovrebbero spettare oneri simili.

Sospettiamo che il dibattito sarà anche piuttosto lungo e acceso -per non dire sofferto- ma è un bene che la politica si inizi a interrogare sulla questione. Sperando che non sia già troppo tardi.

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