I dispositivi Android in standby inviano 10 volte i dati di un iPhone

Un dispositivo Android in standby invia dati ai server Google con una frequenza 10 volte superiore a quella di un iPhone verso Apple. Anche se non viene utilizzato. E ora scoppia il caso.
Un dispositivo Android in standby invia dati ai server Google con una frequenza 10 volte superiore a quella di un iPhone verso Apple. Anche se non viene utilizzato. E ora scoppia il caso.

Google raccoglie continuamente informazioni sui propri utenti, e lo fa con una frequenza davvero allarmante. Stando ad una ricerca svolta da Douglas C. Schmidt, docente di informatica presso la Vanderbilt University, un telefono Android poggiato su un tavolo e lasciato lì effettua 10 volte le comunicazioni che escono da un iPhone. Ma c’è di più, e di peggio.

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Se sul dispositivo Android è anche aperto Chrome in background, vengono trasmesse informazioni di geolocalizzazione per ben 340 volte ogni 24 ore; cosa che invece non accade in condizioni analoghe su iOS, né con Safari né con altri browser. Parliamo di una quantità di richieste di dati 50 volte superiore a quella registrata su iPhone con Safari.

Questo flusso costante di dati rende Big G. capace di bypassare le tecniche di navigazione anonima e protezione della privacy che stanno prendendo piede negli ultimi tempi; Google, in altre parole, ha i mezzi per eludere le tecnologie di offuscamento e di blocco del tracciamento della pubblicità, e risalire infine all’identità di un utente.

Insomma, basta l’integrazione coi servizi online di Mountain View, oppure l’accesso ad una delle sue Web App, per consentire l’associazione di uno specifico cookie di terze parti ad uno specifico account utente. Detta brutalmente, Google sa chi siete anche se avete attivato le feature di anonimizzazione.

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Cosa tutt’altro che confortante, alla luce degli ultimi avvenimenti. Se ricordate, solo pochi giorni fa, parlavamo del vizietto di alcune app Google di registrare gli spostamenti dell’utente anche se la Cronologia Posizioni è disattivata; e state tranquilli, perché è già partita la Class Action, quindi qualcosa cambierà.

D’altro canto, coi nostri dati Google ci campa: il business è prettamente pubblicitario, e tutto l’ecosistema nella sua interezza ruota attorno a questo centro di gravità permanente. Una differenza netta, per lo meno nello stile, con Apple che invece si fregia di richiedere il quantitativo minimo di pubblicità necessaria a far funzionare app e servizi. E l’impressione è che siano sinceramente seri sulla faccenda.

Proprio in queste ore, infatti, Facebook ha dovuto rimuovere dall’app iOS una funzionalità integrata di VPN e chiamata Onavo che reindirizzava tutto il traffico utente verso i server Facebook, violando così le regole dell’App Store in materia di privacy (evidentemente lo scandalo Cambridge Analytica non ha portato i frutti che avremmo sperato). Questo è quel che accaduto nella nostra metà di mondo; su Android, invece, Onavo continuerà a funzionare senza problemi. Per dire.

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