Apple: il MWSF è solo l'inizio?

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Quando Apple annunciò che non avrebbe più partecipato al Macworld di Boston, sembrò una decisione ragionevole: Cupertino voleva concentrare l’attenzione sull’altro evento estivo, per di più organizzato internamente, il WWDC.
Allo stesso modo apparve assolutamente sensata la volontà di svincolarsi dall’Apple Expò di Parigi: Steve Jobs voleva, a ragione, che la strategia di lancio dei nuovi prodotti fosse slegata dalle grandi manifestazioni, in modo da evitare il fisiologico calo delle vendite che precedeva l’evento e contemporaneamente ottimizzare il ritmo di uscita dei nuovi prodotti.

La situazione sembrava essersi stabilizzata, con soddisfazione di tutti, comprendendo una scaletta annuale di 2 grandi eventi (Macworld e WWDC) alternati a 3-4 presentazioni “minori”.

Poi, la bomba del Macworld: con il forfait annunciato, Cupertino affossa in maniera con tutta probabilità definitiva la manifestazione organizzata da IDG.

Ma la volontà di smarcarsi da un evento come il Macworld di San Francisco, che è (era…) la manifestazione più importante dell’anno per Apple in termini di pubblico, presa da sola sembra molto meno sensata delle decisioni precedenti.

Comprendiamo tutti che i costi di una manifestazione come il MWSF sono ingenti, ma abbiamo anche visto in passato come il ritorno mediatico sia enorme.
Le prime pagine dei giornali di tutto il mondo, i titoli dei telegiornali, le migliaia di articoli della stampa specializzata sono, dal punto di vista aziendale, pubblicità impossibili da comprare. Pubblicità, tra l’altro, che costano una frazione di quanto spenda ogni anno Apple negli spot televisivi e raggiungono un pubblico di proporzioni planetarie.

E’ evidente che le scarne righe del comunicato diffuso non bastano a spiegare quello che sta accadendo a Cupertino.
La sensazione è che il forfait del MWSF non sarà l’unico annuncio “bomba” dei prossimi mesi, ma solo il primo segnale di una trasformazione (inevitabile) che l’azienda si appresta a compiere.

Il mondo è cambiato e sta cambiando, velocemente e radicalmente. Così dovrà fare anche Apple.

Il mercato, là fuori, che è in fase di mutamento e lo stesso personal computer che abbiamo usato negli ultimi 20 anni si sta trasformando in qualcosa di nuovo.
La crescita vertiginosa dei netbook a basso costo (eeePC) e dei dispositivi da tasca evoluti (iPhone) sono i temi per cui sarà ricordato l’anno che si avvia alla conclusione.
E l’anno della crisi economica è anche l’anno in cui, con notevole ritardo rispetto alle previsioni della Silicon Valley, si cominciano ad affermare i servizi software remoti, spostando il baricentro dell’attività informatica dai nostri hard-disk ai server dei provider di servizi.

Un anno di transizione, questo 2008, in cui si pongono le basi del mondo IT del prossimo decennio, dove i rapporti di forza tra le aziende sono destinati, naturalmente, a mutare.
Ogni decennio ha avuto la sua azienda-faro: negli anni ’70 fu proprio Apple a dare il via alla prima rivoluzione, con Apple II. Gli anni ’80, pur con il lancio del Macintosh, non possono non essere assegnati ad IBM, che con il suo PC consolidò la rivoluzione del decennio precedente.
Gli anni ’90 passano per forza da Redmond: l’affermazione di Windows come OS monopolista rende Microsoft la regina di quel periodo.
Questi anni duemila sono, infine, quelli di Google.

E la prossima decade, di chi sarà? Ancora non è chiaro ma a giudicare dal trend attuale, non si può non prevedere una progressiva perdita di importanza dell’hardware a favore del software.
Già oggi, infatti, assistiamo ad un certo “appiattimento” della tecnologia elettronica contestualmente all’esplosione di quella informatica; la gente è sempre meno interessata alle caratteristiche fisiche del dispositivo che acquista, privilegiando invece le possibilità, lo scopo, “quello che ci puoi fare” ora e in futuro.

E’ il concetto di rich client + smart service profetizzato, guarda caso, proprio da un certo Steve Jobs.

Ma in tutto questo Apple come si pone?
La strategia di Cupertino è difficilmente inquadrabile e, di fatto, viaggia su due binari paralleli.
Da un lato abbiamo assistito al lancio di una piattaforma rivoluzionaria: iPhone è infatti (e l’abbiamo detto molte volte) molto più che un gadget, un singolo dispositivo, ma l’affermazione proprio del concetto espresso sopra. iPhone non è altro che un mattoncino nero con un grande display: l’hardware, pur evoluto, non ha molto di più della concorrenza. E’ il software che fa la differenza, che rende sostanzialmente illimitate le possibilità future del dispositivo. Ciò che lo rende, più che un semplice prodotto, il capostipite di una generazione.

Dall’altro lato, quello dei sistemi “tradizionali”, Apple sembra ancora fortemente legata al concetto di “una testa-un computer”.
I Mac sono sistemi all’avanguardia, probabilmente quanto di meglio sia disponibile sul mercato, ma rappresentano appunto il modo “tradizionale” di intendere l’informatica.

E non a caso, il mercato dà i primi segnali di disaffezione rispetto a questo concetto forse ormai percepito come “vecchio”: a novembre, infatti, le vendite di Mac desktop sono crollate del 38%, a fronte di una crescita dei sistemi portatili.

Superficialmente, questo potrebbe essere interpretato come un semplice segnale dell’obsolescenza di iMac e Mac mini, bisognosi di un aggiornamento (che comunque arriverà, probabilmente proprio al Macworld), ma c’è anche una motivazione più profonda.

I sistemi desktop sono la prima tipologia di prodotto destinata a mutare radicalmente, proprio perchè rappresentano l’incarnazione più tradizionale del personal computing. In cosa si trasformeranno non è ancora chiaro, ci sono due scuole di pensiero: da un lato viene profetizzata l’affermazione del network computer, dall’altro l’allargamento del concetto di digital hub.
In entrambi i casi, comunque, rimane assodato che il PC fisso come è ora è destinato a sparire in tempi più brevi di quanto ci potremmo aspettare.

E’ in questo contesto che si gioca il futuro di Cupertino, azienda che parte con molti vantaggio rispetto alla concorrenza.
Il primo è il brand, sempre fortissimo. Il secondo è la possibilità di investire: la liquidità di Apple permette investimenti anche in tempi di crisi. Il terzo è la tecnologia: qualsiasi sia il futuro, nei laboratori della mela ci sono già tutte le tecnologie necessarie per cavalcarlo.

Questo capodanno, dunque, rappresenterà per Apple sia la fine di un’era che l’inizio di una nuova. La sfida è quella di riuscire a capire prima degli altri come si evolverà la domanda di computing del prossimo decennio, in modo da fare degli anni 2010 gli anni della mela…

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