Segretezza in Apple, i racconti degli ex impiegati

La segretezza per Apple non è solo una politica aziendale, ma una vera e propria virtù da coltivare, controllare e migliorare giorno per giorno. Ecco cosa hanno da dire a riguardo alcuni ex dipendenti della mela. E preparatevi a restare sorpresi.
La segretezza per Apple non è solo una politica aziendale, ma una vera e propria virtù da coltivare, controllare e migliorare giorno per giorno. Ecco cosa hanno da dire a riguardo alcuni ex dipendenti della mela. E preparatevi a restare sorpresi.

Aggiornamento del 28 maggio 2013.

La proverbiale segretezza di Apple è stata spesso oggetto di curiosità, ammirazione ma anche di critica, e rappresenta la cifra distintiva del modo di operare della società. Tant’è che per tentare di scoprire in anticipo il lancio di un nuovo prodotto e servizio, o anche solo per avere un’idea di quel che sta accadendo a Cupertino, siamo costretti a frugare nel codice del software, a scartabellare le carte dei processi e ad affidarci alle voci di corridoio provenienti dalle catene di montaggio, che però non si rivelano sempre attendibili.

Negli ultimi anni, sono state messe in campo una serie di importanti iniziative volte al contenimento delle fughe di notizie, e lo stesso Tim Cook ha promesso un giro di vite in questo senso; ma con scarsi risultati, visti i prototipi persi o quelli messi all’asta su Ebay.

Ciononostante, è molto difficile riuscire a gettare lo sguardo oltre rumors e apparenze, e ancor più complicato è ottenere informazioni di prima mano. Ed ecco perché non potevamo lasciarci sfuggire quest’occasione. A riguardo, su Quora è comparso un thread davvero interessante intitolato “Come fa Apple a mantenere così bene i segreti?” cui hanno partecipato ex dipendenti della società, compresi quelli di lungo corso degli anni ’70. E questo è il loro resoconto.

Gli inizi. Brian Hoshi, per esempio, afferma che la segretezza è “incastonata nella cultura aziendale” e applicata costantemente dal corporate security Team, cui sostanzialmente è demandato il controllo degli impiegati e le prevenzione delle violazioni. Anche se non è sempre stato così. Ken Rosen, ad esempio, racconta che ai tempi di Next “era tutto aperto” e il CFO si preoccupava addirittura di affiggere ogni mese gli stipendi di ognuno; Steve Jobs amava ripetere che “dentro Next è tutto aperto ma fuori non diciamo nulla. Continueremo così fino alla prima fuga di notizie. Non appena sarà evidente che non riusciamo a mantenere un segreto, torneremo ad essere come ogni altra società.” E ovviamente, nessuno mai volle macchiarsi di questa infamia.

Privacy in famiglia. Quello di Apple è un riserbo che vale perfino in casa e con la propria famiglia. Robert Bowdidge, uno degli ingegneri coinvolti nella transizione dai PowerPc ai processori Intel, rivela di non aver potuto raccontare neppure alla moglie su quale progetto lavorasse al tempo; e quando gli è stato chiesto di trasferirsi momentaneamente in UK per lavorare gomito a gomito con quelli di Transitive, ha dovuto esplicitamente impedire alla moglie di seguirlo e senza neppure uno straccio di spiegazione. Lei, infatti, lavorava per IBM e se i piani di Apple fossero giunti alle orecchie sbagliate sarebbe stato un disastro.

Bon Ton à la Apple. In generale, i dipendenti conoscono, comprendono e rispettano tutti le direttive aziendali, e infatti è norma di buona creanza evitare di chiedere a cosa lavori qualcuno durante le conversazioni. Si preferisce piuttosto argomenti personali o esterni, onde evitare figuracce.

Hardware e dintorni. Tutti i prototipi vengono marchiati al laser e identificati da un numero di serie; questo speciale parco macchine viene a sua volta controllato da un sistema di tracciamento centralizzato chiamato iTrack. Quando un prototipo non è in uso, va bloccato, e solo un ristretto numero di ingegneri vi ha accesso.

L’aneddoto più simpatico, tuttavia, è probabilmente quello di Adam Banks, editor del magazine inglese MacUser. Nel 1998 Apple stava lavorando ad un tipo completamente nuovo di Mac, e quella di Banks fu la prima rivista a descrivere compiutamente la macchina con un paio di mesi abbondanti d’anticipo sul lancio ufficiale, quando ancora non se ne sapeva praticamente nulla:

Abbiamo ottenuto i dettagli da qualcuno che lavorava presso un sito di terze parti cui Apple aveva inviato la macchina in prova. Oramai è passato talmente tanto tempo che immagino si possa rivelare chi fosse. Era il Pentagono. Visti i segreti veri su cui lavoravano, quando gli è stato chiesto di non parlare di un volgarissimo PC in plastica, sospetto che a nessuno gliene sia fregato nulla.

La macchina di cui parliamo è l’iMac 3G, caratterizzato da una scocca in plastica colorata e da un form factor mai visto prima. Potete ammirarlo nelle sue 13 splendide varianti a questa pagina di Wikipedia.

Catena delle forniture, il tallone d’Achille della segretezza di Apple

Apple segretezza

Passino le indiscrezioni sul MacBook Pro Retina da 13″, che prima o poi doveva arrivare, e passino anche gli aggiornamenti per iMac e Mac mini, attesi anch’essi da tempo immemorabile; passi perfino l’inedito iPad mini, di cui parlavamo già a metà 2010. Ma con lo scivolone che dimostra l’arrivo di iBooks 3.0, abbiamo praticamente dato fondo a tutte le novità che potevamo ragionevolmente aspettarci all’evento di stasera. E meno male che Tim Cook doveva raddoppiare gli sforzi per la segretezza perché qui di segreto non c’è rimasto praticamente nulla. Colpa della supply chain, spiegano quelli di Ars Technica, ovvero del ciclo degli approvvigionamenti; ma qualcosa della Apple originale, checché ne dicano, si è perso nel tempo.

Il problema, a dire di Ars, è che le centinaia di società partner e le centinaia di migliaia di lavoratori impegnati nelle catene d’assemblaggio della mela costituiscono oramai un vulnus insanabile:

Stando ad un gruppo di impiegati Apple con cui abbiamo parlato in condizioni di anonimato, le fughe sono solo un sottoprodotto della globalizzazione. Gli impiegati ci hanno detto tutti che la sicurezza presso Apple rimane rigidissima se non perfino più rigida del solito. (Molti ingegneri hanno affermato che le pratiche di sicurezza generale appaiono più severe ora, un anno dopo che Tim Cook è diventato CEO, ma “più severe” è un termine di paragone difficile da comprendere in un posto come Apple.) […]
“Le pratiche di sicurezza di Apple si concentrano sugli impiegati statunitensi, per evitare che fuorisca roba o informazioni, ma oramai viene tutto fuori dalla Cina. […] Credo che il modello di segretezza di Apple sia veramente antiquato.”

In altre parole, è inutile restringere al solo Campus di Infinite Loop i test sui dispositivi non ancora commercializzati; così come risulta inefficace limitare ai dipendenti l’accesso in anteprima alle nuove build di iOS e OS X. Il nocciolo della questione è altrove, ovvero dall’altra parte del blogo terracqueo. Lì si percepisce molto meno il sentimento di appartenenza e privilegio che lega i lavoratori della mela, e se a Cupertino non vola una mosca per rispetto al lavoro dei propri colleghi, negli impianti produttivi -non nuovi a fenomeni di sfruttamento e illeciti sul lavoro– si respira tutt’altra aria.

È fuor di dubbio che Apple segua con attenzione i movimenti dei partner asiatici, ma è impensabile tenere sotto controllo degli apparati giganteschi come Foxconn o anche solo la miriade di produttori coinvolti nell’assemblaggio. In realtà, spiega la fonte anonima, “tutte queste misure di sicurezza servono solo a prevenire gli incidenti” come ad esempio il famoso prototipo di iPhone 4 che infiniti addusse guai a Gizmodo. Ma la conclusione è una sola: “se la gente vuole davvero far trapelare qualcosa, troverà il modo.” Almeno fino a quando anche l’ultimo stagista della Foxconn non si sentirà parte insostituibile d’una macchina più grande di sé; fino ad allora, non c’è probabilmente soluzione alla fuga di notizie.

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