Steve Jobs minacciò Palm per l'accordo sulle assunzioni

Se quel che sta trapelando in corso di dibattimento verrà confermato in sentenza, la reputazione di Steve Jobs potrebbe presto risentirne profondamente.
Se quel che sta trapelando in corso di dibattimento verrà confermato in sentenza, la reputazione di Steve Jobs potrebbe presto risentirne profondamente.

La vicenda del cosiddetto no-poaching -il patto segreto stilato tra Apple, Google, Pixar e altri blasoni dell’high-tech con cui le società si impegnavano a non pestarsi i piedi a vicenda con le reciproche assunzioni- acquista tinte più fosche. Steve Jobs, apprendiamo oggi, avrebbe infatti minacciato Palm di ingaggiare una furiosa guerra brevettuale se non si fosse piegata all’accordo.

Anni fa, Jobs contattò l’allora CEO di Palm Edward T. Colligan e gli chiese di “fare tutto il possibile per fermare queste assunzioni competitive tra le società;” la risposta fu risoluta, e rende onore all’uomo:

“La tua offerta di non assumere a vicenda gli impiegati delle nostre società, al di là dei loro desideri personali, non è soltanto sbagliata; è probabilmente illegale.”

Ora però sono entrati agli atti -e sono quindi divenuti pubblici- nuovi particolari sulla vicenda; la risposta di Colligan infatta continuava così:

“Palm non attacca le altre società. Cerchiamo la gente migliore che si riesca a trovare. Vorrei che si potesse dire altrettanto delle pratiche di Apple. Tuttavia, durante l’ultimo anno o giù di lì, se da una parte Apple si attrezzava per competere con Palm sul fronte dei telefoni, Apple ha assunto non meno del 2% della forza lavoro di Palm. Per metterla nella giusta prospettiva: se Palm avesse fatto lo stesso, ora avremmo 300 persone ex Apple. E invece, per quanto ne so, ne abbiamo assunti solo tre.”

Poi, l’argomento di discussione vira bruscamente, e si parla di una possibile guerra legale che però non intimidisce il destinatario. Al tempo, Palm si era infatti appena assicurata i diritti di sfruttamento di diversi brevetti Samsung da impiegare contro Apple in un’offensiva all’ultima ceralacca:

“E tanto per restare sull’argomento, quando Siemens ha venduto la divisione handset a BenQ non ha venduto anche i brevetti essenziali; glieli ha solo forniti in licenza. I brevetti venduto a BenQ non sono neppure un granché. Li avevamo comprato noi quando erano in vendita. Immagino che voi a Cupertino la pensiate diversamente. Ma non ci interessa affatto. Il mio consiglio è di dare un’occhiata al nostro portfolio di brevetti prima di prendere qualunque decisione definitiva.”

La situazione, insomma, sta avvitandosi verso il punto di non ritorno, o forse l’ha già superato. Le indagini e il dibattimento hanno sollevato la possibilità della violazione di diverse importanti leggi Antitrust, come lo Sherman Act e il Cartwright Act, e la posizione dello storico iCEO in tale contesto appare sempre più traballante. Nei prossimi giorni, l’implacabile Lucy Koh ha ordinato a Tim Cook di presentarsi alla sbarra come testimone; il giudice, dopotutto, trovava “difficile da credere” che Cook, in qualità di di COO al tempo dei fatti, non fosse stato consultato su accordi simili.

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