Ryan Naraine: iOS 6 come Windows per i controlli sulla privacy

Con iOS 6, Apple avrebbe potuto semplicemente restringere l'accesso ai dati personali, e invece ha scelto di complicare la vita agli utenti, né più né meno come su Windows. Ecco perché.
Con iOS 6, Apple avrebbe potuto semplicemente restringere l'accesso ai dati personali, e invece ha scelto di complicare la vita agli utenti, né più né meno come su Windows. Ecco perché.

Lo scandalo sulla privacy che ha colpito Apple causando, tra le altre cose, perfino una interrogazione dell’FTC e una ramanzina da Tim Cook, non ha portato semplicità e protezione dei dati personali. Cupertino, scrive Ryan Naraine su ZDNet, con iOS 6 ha scelto piuttosto di complicare la vita agli utenti, né più e né meno com’è avvenuto su Windows con UAC.

User Account Control (UAC, ovvero “Controllo Account Utente”) è una modulo introdotto con Windows Vista che gestisce i permessi degli utenti, limitando o impedendo l’installazione di software potenzialmente dannoso per il sistema. Una tecnologia utile, che tuttavia ha finito con l’esasperare l’utenza. E questo è grossomodo quel che rischia di avvenire anche sull’OS mobile per il resto di noi:

Per quanto ne so, UAC è una tecnologia solida che fa esattamente ciò per cui è stata progettata. Nel mio modo di vederla, la pubblicità negativa e la reazione avversa ad UAC sono state causate soprattutto dal fallimento del marketing e delle pubbliche relazioni di Microsoft, piuttosto che da reali problemi. Detto questo, è chiaro il paragone fatto da Naraine.
Il problema di UAC -e dei permessi su iOS 6- è che rischia di essere opprimente, almeno dalla prospettiva dell’utente medio. La gente sarà inondata da popup di avvisi e da finestre di dialogo che chiedono continuamente il permesso per tutto. Non sapendone abbastanza per determinare se un’attività è legittima o meno, finiscono con l’accettare tutte le richieste.

C’è da dire che con Windows 7 le cose, non potendo ragionevolmente peggiorare, sono migliorate parecchio, e soprattutto Apple non è Microsoft. Come dire, aspettiamo almeno di vedere l’implementazione pratica prima di dare l’affondo; eppure, qualcuno scaglia già le prime accuse. Andrew Storms, esperto di sicurezza per nCircle, scrive in un post:

Invece di concentrarsi sulla parte difficile, ovvero mettere su una policy della privacy realmente rispettosa degli utenti e dare filo da torcere agli sviluppatori che violano le regole, Apple ha in sostanza deciso di infastidire i propri utenti richiedendo loro di fare clic su una finestra di dialogo per tutte le app sul proprio telefono. […] Finirà come nei giochi “schiaccia la talpa,” ovvero l’esatto tipo di cose che gli utenti odiano e che ignorano completamente.

Quella di Apple, insomma, è solo una strategia per tagliarsi fuori dalle critiche e lasciare all’utente il compito di tutelare se stesso, che poi -intendiamoci- può anche andar bene. Certo è che, come dicono in molti, si sarebbe potuto semplicemente dare una stretta alle violazioni con una serie più stringenti di linee guida. Ma poi chi lo spiegava agli inserzionisti?

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