La parità euro-dollaro


Ad ogni novità presentata da Apple, o ad ogni ritocco del listino, assistiamo al ripetersi delle perplessità sul tasso di cambio euro-dollaro operato da Cupertino. Spesso la cifra è la stessa e viene solo sostituito il simbolo della banconota verde con quello della moneta unica.
In un periodo come quello attuale, in cui l’euro è particolarmente forte, capita che ci sia un divario di oltre il 30% tra quello che sborsano un cliente americano e uno europeo per lo stesso prodotto.

Per trovare delle risposte certe, abbiamo interpellato diverse figure che si occupano di queste problematiche, responsabili delle Camere di Commercio ed esperti di commercio internazionale.

Ci eravamo posti 3 domande cui trovare risposta. Ecco quello che abbiamo scoperto.

1) E’ vero che in Europa i prezzi sono comprensivi di IVA, mentre negli USA no?

SI, ogni stato europeo ha un suo Apple Store Online, dunque in ogni paese i prezzi indicati sono già comprensivi dell’aliquota IVA locale. L’Apple Store americano è uno solo, ma negli USA ogni stato applica una aliquota (oltreoceano si chiama VAT) differente, che viene aggiunta al prezzo finale o pagata direttamente nella cartella delle tasse. Da notare, tuttavia, che in alcuni stati USA, la VAT è allo 0%: è comunque una anomalia del sistema non imputabile all’azienda.

2) Ma l’IVA in Europa è mediamente al 20% e i prezzi sono superiori di oltre il 30%. La differenza la intasca comunque Apple?

NO, pochi ricordano che, se le merci che circolano tra gli stati UE non sono soggetti a dazi, lo sono quelli che provengono da fuori la comunità europea. Non è chiaro se giuridicamente i prodotti Apple siano considerati provenienti dagli USA o dal sud-est asiatico, comunque i dazi doganali oscillano tra il 3% e il 5,5% del valore.

3) Rimane comunque una differenza tra i due prezzi. Perchè?

La struttura commerciale di Apple in Europa ha un costo, un costo che Cupertino ha scelto di caricare sui ricavi delle sole vendite europee. Secondo gli analisti questo grava per un ulteriore 2-3% sul costo finale.

Rimane, infine, un ultimo 3%. Non è chiaro a cosa questa quota sia esattamente dovuta, ma c’è un’potesi plausibile e largamente condivisa dai soggetti che abbiamo interpellato: sappiamo che i prezzi dei prodotti variano anche all’interno dei paesi UE, appare dunque logico, in un ottica di regime di libero mercato, che un’azienda abbia un margine da giostrare in funzione delle strategie commerciali più idonee che intende intraprendere e pure, non dimentichiamolo, delle costanti oscillazioni del mercato valutario.

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