Abusi sul lavoro in Cina: ex manager accusano Apple

In Cina è presente un modello di produzione che sistematicamente sfrutta i lavoratori e nega loro princìpi che in Occidente sono garantiti da 100 anni. E Apple si lagna un po', ma poco, perché le conviene.
In Cina è presente un modello di produzione che sistematicamente sfrutta i lavoratori e nega loro princìpi che in Occidente sono garantiti da 100 anni. E Apple si lagna un po', ma poco, perché le conviene.


In un articolo piuttosto corposo, il New York Times documenta le gravi condizioni di lavoro e gli abusi a cui sono sottoposti gli operai dei partner asiatici di Cupertino, con particolare riferimento a Foxconn. Al di là delle promesse, alcuni ex manager e attuali dirigenti Apple rivelano quanto poco sia stato fatto fin’ora: da una parte infatti c’è la necessità di bassi margini e alta produttività, e dall’altra imprenditori senza scrupoli che non disdegnano qualche scorciatoia per portare a casa la commessa. Solo che in mezzo, tanto per cambiare, ci sta la povera gente.

A onor del vero, almeno a dire degli intervistati, Apple avrebbe “provato con tutte le forze” a strappare condizioni migliori per gli operai delle fabbriche partner, ma con scarsi risultati e, forse, non troppa convinzione. Il paradosso qui sta nel fatto che se da una parte la mela chiede adeguati sistemi di sicurezza, poi dall’altra pretende prezzi che è impossibile ottenere in altri modi. Prendiamo ad esempio l’esplosione avvenuta presso la Foxconn causata dalla polvere d’alluminio.

Un esperto contattato dal New York Times ha definito la vicenda figlia d’una “imperdonabile negligenza” da parte di Apple, aggiungendo poi:

Questo problema [ovvero quello degli impianti di ventilazione] noi l’abbiamo risolto più d’un secolo fa.

E sebbene già da qualche anno Apple si sia impegnata a documentare le condizioni in cui operano gli impiegati del Paese di Mezzo con un resoconto ad hoc, intanto ogni iPad e iPhone prodotti hanno un costo umano che, per i nostri standard, risulterebbe semplicemente inaccettabile. Il problema è che, ammesso si arrivasse alla rottura coi fornitori, Apple non avrebbe comunque altre strade da percorrere; e così, resta suo malgrado vincolata a un tipo di società che tollera lo sfruttamento della manodopera e la presenza di minori nelle catene di montaggio:

L’inosservanza delle regole è accettata, fintanto che i fornitori promettono di impegnarsi di più la volta successiva. Se davvero c’era l’intenzione di fare business, le violazioni più importanti poi sparivano.

Insomma, quasi un buffetto sulle spalle e una raccomandazione a non rifarlo più. E intendiamoci, non è che Apple sia l’unica a barcamenarsi in accuse simili, visto che in buona sostanza tutte le società high tech hanno a che fare con questioni analoghe. Semmai, è l’unica nel settore che può vantare fatturati e liquidità di tale portata. Il fatto è che qualcuno prima o poi dovrà rendere conto dello spregio sistematico delle condizioni minime di dignità messe in atto dall’altra parte del globo; perché se Foxconn afferma che tutto va bene nonostante i suicidi di massa, Apple sottoscrive che tutto va benino nonostante i risultati del suo resoconto annuale, e gli utenti comprano a frotte perché “si preoccupano più dell’ultimo modello di iPhone che delle condizioni di lavoro in Cina,” sta’ a vedere che il problema è solo degli operai.

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