Storie di iMac, aggiornamenti e té pomeridiani

Interno. Giorno.
Un’elegante casa nel centro storico, il piccolo portoncino di ingresso si apre da un androne affrescato. L’appartamento è fresco, illuminato con cura, arredato con gusto e un pizzico di estro.
I proprietari sono una coppia di amici di famiglia: oltre 160 anni in due, persone colte, eleganti, pacate ed affabili.
Sono qui a seguito di una telefonata, in cui mi si chiedeva di dare una mano a mettere a posto “il vecchio Mac”.
Me lo ricordo, quel “vecchio” Mac: è un iMac G3 DV, arancione, tangerine come lo chiamavano a Cupertino. E’ sistemato su una scrivania di cristallo, accanto ad una famosa lampada Artemide ed ad un vaso di ceramica. Credo sia Caltagirone. E’ evidente che nulla sia lì per caso, tutto è sistemato con cura e consapevolezza, rendendo il colpo d’occhio semplicemente perfetto.

E’ così da 10 anni, quasi esatti: da quando, lo ricordo ancora, portai in casa l’allora ultimo nato dei computer con la mela. Sostituiva un Macintosh Classic II (che per inciso è ancora funzionante nella mia collezione personale) e fu inizialmente visto con sospetto dall’elegante signora, per via di quel suo aspetto “forse troppo appariscente”.

Chiedo qual è il problema. Non si riesce a navigare bene su internet, mi dicono, molti siti non si vedono. Accendo e vedo la schermata di avvio di Mac OS 8. Il browser è Netscape, non credevo che avrei mai davvero rivisto una configurazione di questo tipo.
Inutile, comunque, cercare di aggiornare in queste condizioni: visto che tutto l’hardware sembra funzionare a dovere, e le specifiche dovrebbero consentirlo, propongo di installare Mac OS X, ho con me una copia di Tiger. Accettano. Installiamo.

Dopo un po’, un bel po’ a dire il vero, passato a chiacchierare discutendo di una prima edizione in lingua originale di “Dubliners” che da sempre sogno di possedere, l’installazione è completa: Mac OS X 10.4.4 gira senza problemi. Ora bisogna aggiornare. Con panico vedo che dal lato destro spunta un cavo RJ11, il comune “doppino” telefonico. L’unica connessione disponibile è una dial-up 56k. L’amico si schernisce, dice che per quello che deve fare basta e avanza, e poi tanto la moglie no accetterebbe mai di avere altra “roba elettronica” sulla scrivania.

Un’idea mi illumina, estraggo dalla borsa una chiavetta HSDPA: funzionerà?
Nel pannello “Network” delle Preferenze di Sistema compare una nuova connessione di rete: è sufficiente inserire la stringa *99***1# e siamo connessi in banda larga. In pochi minuti Aggiornamento Software installa tutto il software necessario, e in un batter d’occhio stiamo navigando a 7.2 Mbit con Safari 4 e Mac OS X 10.4.11 su un iMac G3.

E’ stato un pomeriggio piacevole, erano anni che non mi veniva offerto un té: tornandomene a casa, alleggerito di una chiavetta internet UMTS, sono stranamente soddisfatto e, passeggiando sotto i portici, penso.

Penso che quell’iMac G3 è stato costruito tra settembre e ottobre 1999 a Singapore (me lo ha detto Coconut Identity Card): ha un chip IBM PowerPC G3 da 400Mhz, 256Mb di RAM e un disco rigido da 10Gb. Dopo 10 anni è ancora perfettamente funzionate, può girare con un moderno sistema operativo (che occupa meno della metà dello spazio sul disco rigido) e navigare sul web con un modem USB di ultimissima generazione, aprendo senza problemi i principali siti internet.

A casa, accendendo i mio MacBook, sono sorpreso da pensieri strani e fumosi che parlano di Legge di Moore e passano da Tim Berners-Lee a Jonathan Ive. Mi consolo pensando che su quell’iMac YouTube era praticamente inutilizzabile, tanto i video andavano a scatti.

Poi mi chiedo quanto questo potesse influire sulla qualità della vita dei miei simpatici ospiti.

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