MacSwear: non chiamatelo retrogaming...

Quanto poco basti all’immaginazione per superare i confini angusti che il corpo di cui è ospite le ha concesso, o a rimanerne per sempre intrappolata, lo dimostra il solo MacSwear , riedizione 3d, per Mac, di un antico gioco per Amiga. Talmente intensa e post-modern, che ci ha fatto comprendere meglio dei concetti generali alla base dell’originale che l’ha ispirata, come pure del popolare Snake della Nokia che ne deriva…

In buona sostanza, c’è più verità in una delle sue svoltate vitali – unica arma contro il suo unico rivale, se stesso – che in intere sessioni di simulazione di volo; allo stesso modo in cui ci può essere più terribile violenza nel perire soffocando in un game over di Tetris che in dieci ultra-realistici successivi ferimenti d’un Quake.

In MacSwear, impersoniamo un serpente con il compito di ingoiare, allungandosi ad ogni boccone, il maggior numero possibile di piccoli nemici, sparsi per uno spazio più o meno indefinito (sebbene i creatori del sequel ci abbiano dotati di schemi dalle forme più varie: dalla nocciolina americana al nastro di Moebius). Eppure, è chiaro fin dall’inizio che non saranno affatto questi i veri nemici da combattere (il contatto con essi neppure ci infligge danno), e che l’eroe e il vero boss di fine livello, in realtà, coincideranno sempre nella stesso personaggio.

Questo rettile disegna col suo stesso corpo, ogni partita, nell’atto di percorrerlo, un nuovo universo – con ostacoli da evitare, baratri da sfuggire, ogni partita differenti e irripetibili – parallelo a quello dato dai programmatori, che deriva dai suoi movimenti, e che durerà fino alla sua sconfitta. Mentre svolge le sue spire è il direttore di quei lavori da un game designer sempre in progress. E’ un Dedalus che-si-è-fatto-da-sé, la cui tragedia si compirà quando, finito lo spazio a nostra disposizione, sarà costretto a mordersi la lingua.

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